LETTI DA NOI/5: Falce senza martello. Racconti post-sovietici a cura di Giulia Marcucci

LETTI DA NOI/5: Falce senza martello. Racconti post-sovietici a cura di Giulia Marcucci

«Gli anni Duemila hanno visto l’affermarsi di una nuova ondata di giovani scrittori che, nati nella tarda epoca sovietica tra gli anni Settanta e i primi anni Ottanta, sono diventati adulti in un contesto profondamente cambiato che ha in larga parte disilluso le loro aspettative»: scrive così Giulia Marcucci, curatrice e traduttrice dei racconti post-sovietici di Falce senza martello, interessante ed esaustiva raccolta pubblicata da Stilo Editrice nel marzo scorso. L’opera fa parte della collana di narrativa Pagine di Russia e, più in generale e assieme ad altre pubblicazioni, di un omonimo progetto della casa editrice barese (la quale da qualche anno organizza e dedica alla Russia anche un festival) che insegue l’obiettivo di svelare e far comprendere l’attuale e moderno mondo russo con riferimenti alla letteratura, alla musica, al cinema, mai rinunciando a un continuo dialogo e confronto con il passato.
Quello che subito stupisce dei racconti proposti è la quasi assoluta mancanza di riferimenti politici. È come se questi giovani scrittori russi abbiano deciso di indirizzare il loro talento e il loro estro entro forme più tradizionali e intimiste. Non a caso la maggior parte dei testi è in prima persona, a suggerire il desiderio di conversare con il lettore e fargli delle confessioni, lasciando fluire sensazioni e punti di vista.

Le persone fanno spesso pena quando posano. Cercano di sembrare qualcuno, realizzano confusamente i propri desideri, svelano il mondo interiore o quello che hanno da mostrare. Ma c’è una soglia oltre la quale una persona smette di fare pena e diventa qualcosa per cui non esiste definizione. Che suscita sconcerto e silenzio. Un’assurdità che produce la sensazione di un miracolo. 

A parlare è un giovane fotografo di successo, protagonista del primo racconto, Com’è che si chiamava? di Aleksandr Snegirev. Egli ha senza dubbio diversi punti in comune con gli altri narratori qui presenti, tra i quali la voglia quasi impellente di parlare del passato e, soprattutto, di rivelare qualcosa di scabroso, segreto, nascosto. Succede anche ne Le mele di German Sadulaev, un’emozionante rievocazione di un amore (proibito ma del tutto casto) tra due cugini, che si consuma nel corso di un’estate.
È la dimensione ancora viva del ricordo, quindi, a venire a galla, toccando talvolta anche l’universo infantile: ne La commedia dell’arte di Andrej Astvacaturov è messo in scena – con ironia e leggerezza – il tormento di un ragazzino alle prese non solo con il sentimento di odio e amore, disprezzo e ammirazione nei confronti del suo migliore amico e rivale, ma anche con l’incertezza e l’incompletezza dei suoi anni («Non si capisce cosa e chi sei. Un bambinone, un citrullo, un pagliaccio, un arlecchino… Non si sa»); nel racconto di Valerij Ajrapetjan, intitolato emblematicamente Infanzia, si assiste invece alla fine di quel mondo innocente, dal momento che il protagonista, la cui vita «prometteva d’essere sempre felice», diventa spettatore di un terribile omicidio. Si insinua, così, fino a diventare di pesante rilevanza, anche il fondamentale tema della morte, spesso presentato nel suo classico contrasto con l’amore. Una coppia ossimorica, questa, che può dare vita a conseguenze diverse: può essere sinonimo di crudeltà e cecità (là dove un litigio tra due amanti finisce in tragedia) come ne La fienagione di Roman Senčin, oppure può trasformarsi in viva e nostalgica tenerezza, come nel racconto (forse il più bello) Il Gianicolo di Vadim Levental’, in cui un uomo decide di far trascorrere gli ultimi giorni di vita di sua madre a Roma: mentre passeggia tra i suoi vicoli, aspettando la chiamata risolutiva della sua inquietudine, finisce per identificarsi con l’aria decadente e viva della città, nell’ininterrotto ciclo di vita e morte che sembra suggerire:

Qui, sul colle del Gianicolo, a Starikov venne in mente che Roma, la città che ora stava guardando – dove ogni nuova casa era stata poggiata sulla carcassa di una parete millenaria, dove la Basilica era stata costruita con le pietre di un Circo mezzo distrutto, dove i bambini giocano e la gioventù beve sopra cimiteri spianati -, era anche la parvenza dei suoi amati coralli che crescono furtivamente, quanto il palmo di un bambino di dieci anni, dove ogni organismo morto diviene casa per un altro e che sono, questo lui lo sapeva meglio di chiunque altro, rapaci e sempre affamati. 

Falce senza martello si configura come un libro perfetto per chi ha voglia o curiosità di avvicinarsi per la prima volta alla letteratura russa (data l’estrema fruibilità dei suoi racconti, tra l’altro organizzati in ordine tematico e curati alla perfezione dalla Marcucci), per chi un è appassionato del genere e cerca delle voci nuove, e per chi vuole completare le sue conoscenze, in precedenza coltivate con la lettura dei grandi classici. Buona lettura!

Share this post