LETTI DA NOI/2: Lions di Bonnie Nadzam
Edizioni Black Coffee è una nuova realtà editoriale italiana con l’obiettivo di portare alla luce opere inedite o ingiustamente dimenticate (soprattutto di voci femminili) appartenenti al panorama della letteratura nordamericana. I primi passi di Sara Reggiani e Leonardo Taiuti – già traduttori e ora editori a capo del progetto – sono andati decisamente nella direzione giusta: Lions di Bonnie Nadzam, pubblicato lo scorso marzo, è un romanzo che non si dimentica in fretta. Dopo Lamb (Edizioni Clichy, 2015) la scrittrice americana torna con una storia singolare, ricca di luci e ombre, ambientata in un piccolo e sperduto centro del Colorado. Il tipo di umanità che gravita attorno a Lions è sempre lo stesso da generazioni: gente umile che chiacchiera ogni giorno al bancone dell’unico bar, che è pronta ad aiutare il prossimo, gente che non ha mai imparato l’ambizione, che sa andare avanti con piccoli gesti, cullata dalle superstizioni. Lions, loro, non riescono proprio a lasciarla, pur essendo un posto senza tempo, una città fantasma.
L’avevano chiamata Lions, un nome figlio di un’inventiva sfrenata e di irragionevoli speranze. Ma erano rimasti delusi. Di leoni non se ne erano mai visti. Anche ora c’è solo questa terra, una cotenna di polvere ed erba lucente. Il vento la sferza senza sosta, soffia sull’artemisia e sugli edifici deserti e sulle case segnate dal tempo, svuotando quelle che non sono già sgombre. Piatta come lo scantinato dell’inferno e vuota come il cielo sconfinato che la sovrasta. L’orizzonte descrive una curva netta, sottile, come tornita da un artigiano esperto. Nulla resta nascosto.
Eppure…
Eppure qualcosa inizia a muoversi. Due ragazzi, Leigh Ransom e Gordon Walker, sono intenzionati a partire per iscriversi al college e inseguire i loro sogni. Ma qualcosa andrà storto. La minaccia di una maledizione sulle strade polverose e sinistre di Lions prende vita con la visita di un uomo accompagnato da un cane disgraziato, e «venuto Dio solo sapeva da dove». Questi, in seguito a una sosta presso la casa degli Walker e dopo l’improvvisa scomparsa del padre di Gordon, viene trovato morto nella cisterna dell’acqua della città. Da quel momento, il sistema di certezze del ragazzo inizia a vacillare, nell’indecisione di abbracciare e compiacere la vitalità e i desideri di Leigh oppure la volontà del padre, che in punto di morte lo ha fatto erede della sua officina, l’unica di Lions. «Bisognava sempre interpretare i segni. Era così che si sopravviveva, no?», scrive ad un certo punto il narratore onniscente, entrando nella pelle dei suoi personaggi quasi “verghiani”, poiché tentano affannosamente il distacco definitivo dalla loro terra d’origine, da quel luogo di spettri, decisi a cambiare la loro situazione ma condannati ad un ciclico e triste ritorno. E Leigh è senza dubbio colei che meglio incarna, in un colpo solo, ambiguità, ambizione e superstizione. È il polo opposto di Gordon, la sua esatta metà fin dai tempi dell’infanzia, eppure non riesce a comprenderlo, a consolare il suo dolore, accecata com’è dalla fretta di lasciare Lions:
A ogni turno di lavoro cresceva in lei la sensazione di vivere in una realtà cui non apparteneva; gli spigoli del bancone e dei tavoli, il pavimento laminato, la porta che oscillando si apriva e si chiudeva, perfino il peso del suo stesso volto: tutto le suggeriva che il mondo non era affatto ciò che sembrava, ciò che lei confidava che fosse. Tuttavia non si sentiva propensa ad approfondire la questione, preferiva lasciar perdere. Era Lions a farla sentire così. Perciò mentre puliva i tavoli, in attesa che l’ultima cliente finisse di mangiare, contò e ricontò mentalmente le mance aggiungendole alla cifra che teneva sempre a mente, insieme al numero dei giorni che mancavano alla partenza.
Il lettore assiste al loro allontanarsi e riavvicinarsi, alle improvvise scomparse di Gordon e alle attese di Leigh, al bobottìo degli uomini al bar, al passare lento delle stagioni nella città fantasma, vivendone i lutti, le stasi e i piccoli cambiamenti. Si sentirà cittadino di Lions fino all’ultimo, bellissimo atto: un epilogo inaspettato ed emozionante che incornicia alla perfezione (e senza essere scontato) questa storia languida, dolce e disperata.
Auguri, Black Coffee!