Letti da noi/1: Svegliare i leoni di Ayelet Gundar-Goshen

Letti da noi/1: Svegliare i leoni di Ayelet Gundar-Goshen

Stava giusto pensando di non aver mai visto una luna più bella, quando ha investito l’uomo. Per un momento, dopo il tonfo, ha pensato ancora alla luna ma poi ha smesso di colpo, come una candela spenta da un soffio. Sente la porta della jeep aprirsi e sa di essere lui ad aprirla, sa di essere lui quello che sta uscendo. Ma quella consapevolezza è legata al suo corpo solo vagamente, come la lingua che passa sulle gengive appena dopo l’anestesia: tutto è lì, ma diverso.

Con questo incipit folgorante si apre uno dei romanzi più interessanti e riusciti di questo inizio anno: Svegliare i leoni di Ayelet Gundar-Goshen, pubblicato dalla casa editrice indipendente La Giuntina, da più di trent’anni specializzata e dedita alla diffusione della cultura e letteratura ebraica.
È notte fonda e c’è la luna piena. Il neurochirurgo Eitan Green, dopo un estenuante turno di lavoro durato 19 ore, decide di non tornare subito a casa dalla moglie e dai figli, ma di attraversare con il suo fuoristrada le vie polverose e soffocanti di Beer Sheva, finendo in un deserto. Lì, mentre la radio manda a tutto volume una canzone di Janis Joplin, investe accidentalmente un uomo apparso troppo tardi nel buio. Scende dalla macchina con fare incerto e impaurito e, accertatosi delle sue gravissime condizioni e dell’inutilità di un soccorso, sceglie di scappare. Il giorno dopo l’incidente, si presenta alla porta di Eitan una donna, eritrea, con in mano il suo portafogli. Con qualche accenno e pochissime parole, la donna, di nome Sirkit, dà appuntamento a Eitan in un’autorimessa abbandonata fuori dalla città: non gli chiederà soldi per assicurare il suo silenzio, ma gli presenterà un ragazzo, anche lui eritreo, con una gravissima infezione al braccio, e categoricamente gli ordinerà: «aiutalo». È solo l’inizio di un incubo che perseguiterà Eitan anche nelle le settimane successive, un obbligo – quello di soccorrere, ogni notte, tantissimi immigrati in cerca di assistenza medica, affetti dalle più improbabili malattie, e assillato dall’impietoso sguardo nero di Sirkit – che lo costringerà a mettere in discussione le sue convinzioni, quelle apparentemente incrollabili su se stesso, sulla sua onestà, sul suo invidiabile distacco emotivo.

Così funzionano le cose: la mattina ti alzi ed esci di casa ignaro. Baci tua moglie sulla punta del naso e le dici ci vediamo stasera, proprio convinto che quella sera la vedrai. Al fruttivendolo dici arrivederci. È ovvio che tra qualche giorno si rincontreranno, lui, il commesso e i pomodori. Nulla sarà diverso, eccetto, forse, il prezzo dei pomodori. Il bacio sulla punta del naso, la scelta dei pomodori, le macchie di luce su un muro bianco con la stessa angolatura, alla stessa ora: la nostra esistenza presuppone che quel che è stato è quel che sarà. Che anche oggi come ieri, come ieri l’altro, il globo terrestre continuerà a girare sul suo asse con lo stesso movimento lento, sonnolento, che culla Eitan come un neonato. Se il globo terrestre girasse in direzione opposta, Eitan inciamperebbe, cadrebbe.

Eitan inciampa, cade, tantissime volte. Nasconde alla sua famiglia le verità della morte dell’eritreo (sulla quale, intanto, la moglie Liat sta indagando come ispettrice di polizia) e dell’ospedale abusivo in quell’autorimessa, che si affolla giorno dopo giorno. Così i leoni, da sempre addormentati dentro di lui, si sveglieranno: i loro ruggiti si faranno sentire a ogni persona aiutata, ad ogni azzardo preso, a ogni bugia raccontata, destando i suoi sentimenti più profondi. Un forte di senso di umanità mai conosciuto prima, mischiato a pura adrenalina in circolo, colpisce il medico forse per la prima volta nella sua vita – la stessa che lui ha da sempre creduto essere così legata all’etica professionale e alla fedeltà coniugale. Fino a quando diventa lui quello a essere in pericolo.
«Scappando s’incontra quello da cui si scappa»: così scrive, a un certo punto, Ayelet Gundar-Goshen, racchiudendo in questa frase l’intero senso della storia di Eitan Green. Una storia inusuale e coinvolgente come capita poche volte di leggere, perché regala al lettore un’identificazione inaspettata con il suo protagonista e la battaglia silenziosa e nascosta (rischiosa, anche, ma in fondo giusta) che ha intrapreso prima con se stesso, e poi con ciò che lo circonda. Per la vulnerabilità che ha scoperto di avere, per i leoni rabbiosi che lascia, a un certo punto, ruggire senza freni nel suo petto.
La scrittrice israeliana è una scoperta felicissima. Trentacinquenne, laureata in Psicologia clinica e attivista del movimento per i diritti civili del suo paese, la Gundar-Goshen ha decisamente il dono di lasciare, con la sua penna, un segno ben riconoscibile: il romanzo incalza senza tempi morti, tiene il lettore incollato alla pagina, si arricchisce di volta in volta di immagini magiche, di metafore immediate e calzanti, restando comunque legato a un potente realismo, alla polvere e al sangue con cui ha a che fare il protagonista. Un romanzo che, infine, conoscerà presto una trasposizione televisiva: Svegliare i leoni (il titolo originale è Waking lions) diventerà infatti una serie tv prodotta dalla NBC.

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